S, COME ZEBATINSKY

 

 

In russo, il mio cognome si scrive con l’equivalente in alfabeto cirillico di una «z», ma, chissà come, ad Ellis lsland qualcuno lo trascrisse male e mi ritrovai con una «s»: Asimov. Quella «s», comunque, si pronuncia «z».

Be’, ognuno ha il suo carattere, e personalmente sono molto seccato quando qualcuno pronuncia il mio nome con la «s» o lo scrive con la «z». Non mi stanco mai di correggere chi cade in errore, specialmente quando capita che il mio nome appaia con la «z» su una rivista di fantascienza, il che mi sembra francamente imperdonabile.

Ricordo che una volta Larry Shaw mi disse:  – Perché non scrivi un racconto intitolato «S, come Zebatinsky»?

L’ho fatto, e poiché ho un amore particolare per i racconti che nascondono una sfida e che poi hanno successo, ho deciso di includerlo in questo libro.

 

 

Marshall Zebatinsky si sentiva molto sciocco. Si sentiva come se decine di occhi lo stessero fissando dietro i vetri sporchi della vetrina. Non aveva nessuna fiducia nei vecchi abiti che aveva riesumato e nell’ala abbassata del cappello che non aveva mai messo, prima d’allora, e nemmeno nel fatto di aver lasciato gli occhiali nell’astuccio.

Si sentiva molto sciocco, e questo pensiero gli approfondiva le rughe sulla fronte e gettava un leggero pallore sul suo viso di giovane invecchiato in fretta.

Non sarebbe mai stato capace di spiegare a nessuno perché un fisico nucleare come lui si recasse da un numerologo. Mai, pensava. Diamine, non era capace di spiegarlo nemmeno a se stesso, era stata sua moglie a convincerlo.

Il numerologo sedeva dietro una vecchia scrivania che doveva essere stata acquistata di seconda mano, poiché nessuna scrivania può diventare così vecchia se ha avuto un solo proprietario. E si sarebbe potuto dire lo stesso anche dei suoi abiti. Era un ometto piccolo e scuro che puntava su Zebatinsky gli occhietti neri sorprendentemente vivaci.

– Non ho mai avuto un fisico per cliente prima d’ora, dottor Zebatinsky – disse. Zebatinsky arrossì violentemente.

– Lei comprenderà sicuramente che si tratta di una faccenda riservata.

Il numerologo sorrise e le rughe si infittirono, agli angoli della bocca, mentre la pelle del mento si tendeva bizzarramente.

– Tutte le mie consultazioni sono riservate.

– Penso che dovrei dirle una cosa – fece Zebatinsky.  – Non credo nella numerologia e non immagino di poter cambiare idea. Se questo fa qualche differenza, me lo dica subito.

– Ma allora perché è venuto?

– Mia moglie pensa che lei possa avere un rimedio. Glielo ho promesso e così sono venuto.  – Scrollò le spalle e si sentì ancora più sciocco.

– E cosa vuole ottenere? Danaro? Sicurezza? Una vita lunga? Che cosa?

Zebatinsky rimase seduto immobile per un lungo attimo, mentre il numerologo lo fissava, tranquillamente, senza rivolgergli la minima sollecitazione.

Cosa debbo dirgli? si chiese Zebatinsky. Che ho trentaquattro anni e non ho un avvenire?

– Voglio il successo – dichiarò.  – Voglio che i miei meriti siano riconosciuti.

– Un lavoro migliore?

– Un lavoro diverso. Un lavoro d’un altro genere. Adesso faccio parte di un gruppo di ricercatori, e lavoro agli ordini degli altri. Lavoro di gruppo! È tutto qui, il lavoro di ricerca per conto del governo. Mi sento come un violinista in una orchestra sinfonica.

– E lei vuol fare il solista.

– Voglio smetterla di far parte di un gruppo ed essere… me stesso.  – Zebatinsky si sentì quasi sollevato, nello sfogarsi con qualcun altro che non fosse sua moglie.  – Venticinque anni fa, con la mia preparazione e le mie qualità, avrei ottenuto un posto nelle prime centrali d’energia nucleare. Oggi potrei dirigere uno di quegli impianti, o sarei a capo di un settore di ricerca pura in un’Università. Ma cominciando come ho cominciato, oggigiorno, dove sarò fra venticinque anni? In nessun posto. Ancora dove sono adesso. Sto affogando in una folla anonima di fisici nucleari, e quello che io voglio è un posto sulla terraferma, se capisce quello che intendo.

Il numerologo annuì, lentamente.

– Lei si renderà conto, dottor Zebatinsky, che io non garantisco il successo.

Nonostante la sua programmatica mancanza di fede, Zebatinsky provò il morso acuto della disillusione.

– No? Ma allora cosa diavolo garantisce, lei?

– Un miglioramento delle probabilità. Il mio lavoro è un lavoro statistico. Dal momento che lei tratta con gli atomi, credo che comprenda le leggi statistiche.

– Davvero? – chiese acido il fisico.

– Davvero. Sono un matematico e lavoro matematicamente. Non glielo sto dicendo per giustificare la mia parcella. Che è fissa: cinquanta dollari. Ma dal momento che lei è uno scienziato, può apprezzare la natura del mio lavoro meglio degli altri clienti. È persino un piacere poterle spiegare di che si tratta.

– Preferirei che non lo facesse, se non le dispiace – disse Zebatinsky.  – Non serve a niente parlarmi del valore numerico delle lettere, del loro significato statistico eccetera eccetera. Per me, questa non è matematica. Veniamo al dunque e…

– Allora lei pretende che io l’aiuti purché non l’imbarazzi parlandole della base sciocca ed ascientifica del metodo che mi servirà per aiutarla – ribatté il numerologo.  – È così?

– Esatto. È così.

– Ma lei continua a basarsi sull’assunto che io sono un numerologo, ed io non lo sono affatto. Dico di esserlo perché la polizia mi lasci in pace e – l’ometto ridacchiò seccamente – perché mi lascino in pace anche gli psichiatri. Ma io sono un matematico. Un matematico onesto.

Zebatinsky sorrise.

– Io costruisco calcolatori – disse il numerologo.  – Io studio i probabili futuri.

– Cosa?

– Le sembra peggio della numerologia? Perché? Avendo abbastanza dati ed un calcolatore capace di un numero sufficiente di operazioni, il futuro è prevedibile, per lo meno in termini di probabilità. Quando lei calcola il moto di un missile per stabilire la rotta di un antimissile, lei non predice forse il futuro? Fra il missile e l’antimissile la collisione non avverrebbe se il futuro non venisse predetto correttamente. Io faccio lo stesso. Ma, dal momento che lavoro con un maggior numero di variabili, i miei risultati sono meno accurati.

– Vuol dire che lei predirà il mio futuro?

– Molto approssimativamente. Quando lo avrò fatto, modificherò i dati cambiando il suo nome, e nient’altro. Poi immetterò questo nome modificato nel programma operativo. Poi proverò con altri nomi modificati. Studierò tutti i futuri modificati e troverò quello che le assicurerà riconoscimenti maggiori di quelli contenuti nel futuro che ora l’aspetta. O meglio, diciamo così: io le troverò un futuro nel quale le probabilità di un riconoscimento adeguato siano più alte delle probabilità contenute nel suo futuro attuale.

– E perché cambiare il mio nome?

– Perché è l’unico cambiamento che posso fare, per molte ragioni. In primo luogo, è un cambiamento molto semplice. Inoltre, se io facessi un grande cambiamento o parecchi cambiamenti, entrerebbero in gioco tante nuove variabili che io non potrei più interpretare il risultato. La mia macchina è ancora piuttosto grezza. In secondo luogo, è un cambiamento ragionevole. Non posso cambiare la sua statura, o il colore dei suoi occhi, o il suo carattere. In terzo luogo, è un cambiamento significativo: i nomi significano molto, per la gente. E finalmente, in quarto luogo, è un cambiamento comune che viene fatto tutti i giorni da molte persone.

– E se lei non troverà un futuro migliore? – chiese Zebatinsky.

– È un rischio che lei deve correre. Non le andrà mai peggio di adesso, comunque, amico mio.

Zebatinsky lo fissò. Si sentiva a disagio.

– Non lo credo. Preferisco credere nella numerologia.

Il numerologo sospirò.

– Credevo che una persona come lei preferisse la verità. Io voglio aiutarla e c’è molto da fare, in questo senso. Se lei mi credesse un numerologo, lei non mi seguirebbe. Pensavo che se le avessi detto la verità, lei mi avrebbe permesso di aiutarla.

– Se lei può vedere il futuro… – cominciò Zebatinsky.

– Perché non sono l’uomo più ricco del mondo? È questo che vuol dire? Ma io sono ricco. Ho tutto quello che voglio. Lei vuole ottenere riconoscimenti ed io voglio essere lasciato solo. Io faccio il mio lavoro. Nessuno mi disturba. E questo mi fa sentire miliardario. Ho bisogno di poco danaro, che mi viene fornito dai clienti. Aiutare la gente è bello e forse uno psichiatra direbbe che mi dà un senso di potenza che sazia il mio ego. E adesso… vuole che l’aiuti?

– Quanto ha detto che verrà a costare?

– Cinquanta dollari. Avrò bisogno di molti dati biografici, ma ho già preparato una specie di questionario. È un po’ lungo, temo. Comunque, se lei me lo spedirà alla fine della settimana, le darò la risposta il…  – Sporse il labbro inferiore e si accigliò, facendo i conti fra sé.  –… il venti del mese prossimo.

– Cinque settimane? Così tanto?

– Ho altro lavoro, amico mio; altri clienti. Se fossi un imbroglione, potrei sbrigarmela molto più in fretta. Ne conviene?

– Lo ammetto  – Zebatinsky si alzò.  – Ma si tratta d’una faccenda riservata.

– Certo. Le restituirò tutti i dati quando le dirò quale cambiamento dovrà effettuare; e le dò la mia parola che non me ne servirò mai.

Il fisico si fermò, proprio sulla porta.

– Non ha paura che io vada a raccontare a qualcuno che lei non è numerologo?

Il numerologo scosse il capo.

– E chi le crederebbe, amico mio… anche se lei fosse disposto a raccontare di essere venuto da me?

 

Il venti del mese successivo, Marshall Zebatinsky se ne stava davanti all’uscio scrostato, lanciando occhiate di sbieco alla vetrina su cui spiccava il cartello «Numerologia», sbiadito e quasi illeggibile per la polvere. Sbirciò nell’interno, quasi nella speranza che vi fosse già qualcuno, così lui avrebbe avuto una scusa per rinunciare alle sue già barcollanti intenzioni e per ritornarsene a casa.

Parecchie volte aveva tentato di togliersi l’idea dalla testa. Per molto tempo non era riuscito a riempire neppure il questionario. Era imbarazzante, occuparsene. Si sentiva incredibilmente sciocco, mentre rispondeva a domande sui nomi dei suoi amici, sul costo della sua casa, sugli eventuali aborti di sua moglie. Così ne interruppe a metà la compilazione.

Ma d’altra parte non era nemmeno capace di fermarsi. Tutte le sere tornava ad occuparsene.

Forse era il pensiero del calcolatore a spingerlo; il pensiero dell’infernale impudenza dell’ometto che pretendeva di avere un calcolatore. La tentazione di «vedere» il bluff, di scoprire quello che sarebbe accaduto si dimostrava irresistibile, in fin dei conti.

Finalmente spedì il questionario per posta ordinaria, affrancandola con un bollo da nove cents, senza neppure pesare la lettera. Se fosse tornata indietro, pensò, lui avrebbe rinunciato.

Ma la lettera non tornò indietro.

Guardò nel negozio: era vuoto. Zebatinsky non aveva altra scelta se non entrare. Il campanello suonò.

Il vecchio numerologo uscì da dietro una tenda.

– Sì? Ah, è lei, dottor Zebatinsky.

– Si ricorda di me?  – Zebatinsky cercò di sorridere.

– Oh, sì.

– Qual è il verdetto?

Il numerologo si passò una sull’altra le mani contorte.

– Prima di tutto, signore, ci sarebbe un piccolo…

– … il piccolo particolare del pagamento?

– Io ho già fatto il mio lavoro, signore. Ho meritato il compenso.

Zebatinsky non sollevò obiezioni. Era pronto a pagare. Se era arrivato fino a quel punto, sarebbe stato sciocco abbandonare tutto a metà per motivi di danaro.

Contò cinque biglietti da dieci dollari e li spinse attraverso il banco.

– Va bene così?

Il numerologo tornò a contare i biglietti, lentamente, poi li ripose in un cassetto.

– Il suo caso è molto interessante – disse.  – Le consiglierei di cambiare il suo nome in Sebatinsky.

– Seba… Come si scrive?

– S-e-b-a-t-i-n-s-k-y.

Zebatinsky trasalì, indignato.

– Vuol dire che ha cambiato l’iniziale? Ha cambiato la Z in una S. Tutto qui?

– È sufficiente. Purché sia adeguato, un cambiamento piccolo è migliore di uno grande.

– Ma che influenza può avere questo cambiamento?

– Che influenza può avere un nome? – chiese dolcemente il numerologo.  – Non saprei dirlo. Può averla, in un certo senso, e questo è tutto ciò che posso dirle. Si ricordi, non garantisco i risultati. Naturalmente, se lei non fosse disposto a fare il cambiamento, lasci le cose come stanno. Ma in questo caso non potrei renderle la mia parcella.

– Cosa debbo fare? – chiese Zebatinsky.  – Andare a dire a tutti che il mio cognome si scrive con la S?

– Se vuole un consiglio, consulti un avvocato. Cambi cognome legalmente. L’avvocato potrà darle tutti i particolari.

– E quanto tempo occorrerà? Voglio dire, perché la situazione cominci a migliorare?

– Come posso dirlo? Forse non migliorerà mai; o forse migliorerà domani stesso.

– Ma lei vede il futuro. Lei pretende di vederlo!

– Non come in una sfera di cristallo. No, no, dottor Zebatinsky, tutto quello che ottengo dal mio calcolatore è una serie di numeri in codice. Posso parlarle di probabilità, questo sì; ma non vedo le immagini!

Zebatinsky si girò di scatto e si allontanò rapidamente dal negozio. Cinquanta dollari per cambiare una lettera! Cinquanta dollari per Sebatinsky! Cielo, che nome! Peggio di Zebatinsky!

 

Gli occorse un altro mese prima di decidersi ad andare da un avvocato, poi finalmente lo consultò.

Si disse che in fin dei conti poteva sempre riprendere il suo vecchio cognome.

Al diavolo, non c’era nessuna legge che lo impedisse!

Tentiamo, si disse.

 

Henry Brand sfogliò il fascicolo pagina per pagina, con l’occhio esperto di chi è nella Sicurezza da quattordici anni. Non era necessario che leggesse ogni parola. Qualsiasi particolare di rilievo gli sarebbe balzato agli occhi quasi spontaneamente.

– Quest’uomo mi sembra pulito – disse. Anche Henry Brand sembrava pulito; aveva una pancia rotonda ed una carnagione rosea ben lustrata. Era come se il continuo contatto con ogni debolezza umana, dall’ignoranza al tradimento, lo avesse costretto a lavarsi più frequentemente del normale.

Il tenente Albert Quincy, che gli aveva portato il fascicolo, era molto giovane e molto compreso della responsabilità di essere un ufficiale della Sicurezza addetto alla Stazione di Hanford.

– Ma perché Sebatinsky?

– E perché no?

– Perché non ha senso. Zebatinsky è un cognome straniero e anch’io lo cambierei, se lo portassi; ma lo cambierei in un cognome anglosassone. Se Zebatinsky avesse fatto questo, avrebbe avuto senso, e non ci avrei pensato più. Ma perché cambiare una Z in una S? Credo che dovremo scoprire perché lo ha fatto.

– Qualcuno ha provato a chiederglielo direttamente?

– Certo; nel corso di una normale conversazione, naturalmente. Sono stato molto prudente. Ha detto soltanto che era stufo di venire in coda all’alfabeto.

– E non può essere proprio così, tenente?

– Potrebbe, ma allora perché non ha cambiato il cognome in Sands o Smith, se proprio voleva una S? O se è stufo della Z, perché non andare fino in fondo e non cambiarla in una A? Perché non ha scelto un cognome come Aarons?

– Non è abbastanza anglosassone – mormorò Brand. E poi:  – Ma non possiamo imputargli proprio nulla. Per quanto sia un cambiamento di cognome, non è una prova che si possa addurre contro nessuno.

Il tenente Quincy assunse un aspetto visibilmente infelice.

– Mi dica, tenente – disse Brand – ci deve essere qualcosa di particolare che la disturba. Lei deve avere qualcosa in mente, una sua teoria. Di che si tratta?

Il tenente si accigliò. Le sopracciglia bionde si unirono in un’unica linea diritta e le labbra gli si strinsero.

– Bene, maledizione, signore, quell’uomo è un russo!

– Non lo è. È americano della terza generazione – obiettò Brand.

– Voglio dire che ha un cognome russo.

– No, tenente. Lei sbaglia di nuovo. È polacco.

Il tenente spinse le mani avanti, impaziente, a palme in su.

– È la stessa cosa.

Brand, la cui madre si chiamava Wiszewki, da ragazza, scattò.

– Provi a dire una cosa simile a un polacco, tenente.  – Poi, in tono più riflessivo.  – O a un russo, anche.

– Stavo cercando di spiegarle, signore – disse il tenente, arrossendo un po’ – che tanto i russi quanto i polacchi vivono al di là della Cortina di Ferro.

– Questo lo sappiamo tutti.

– E Zebatinsky o Sebatinsky, comunque lei lo voglia chiamare, può avere parenti oltre cortina.

– Lui è americano della terza generazione. Potrebbe avere qualche secondo cugino oltrecortina, al massimo. E con questo?

– Niente. C’è un mucchio di gente che ha parenti oltrecortina. Ma Zebatinsky ha cambiato cognome.

– Continui.

– Forse sta tentando di distrarre l’attenzione di qualcuno. Forse un suo secondo cugino, laggiù, sta diventando troppo famoso e il nostro Zebatinsky teme che quella parentela possa rovinargli la possibilità di far carriera.

– Cambiare il cognome non gli servirebbe. Resterebbe sempre un secondo cugino.

– Sicuro, ma si sentirebbe diverso, se non dovesse mostrare così chiaramente quella parentela.

– Ma lei ha mai sentito parlare di un Zebatinsky d’oltre-cortina?

– No, signore.

– E allora non può essere troppo famoso. Come potrebbe saperlo il nostro Zebatinsky?

– Potrebbe essere rimasto in contatto con i suoi parenti. E questo sarebbe sospetto, nel suo caso particolare. È un fisico nucleare.

Brand tornò a sfogliare metodicamente il fascicolo.

– È una connessione molto sottile, tenente. Tanto sottile da essere completamente invisibile.

– E lei potrebbe dare un’altra spiegazione del motivo che lo ha spinto a cambiare il cognome in questo modo?

– No, non posso. Lo ammetto.

– E allora, signore, credo che dovremo investigare. Dovremmo occuparci di tutti coloro che si chiamano Zebatinsky e che stanno al di là della Cortina di Ferro e vedere se possiamo trovare la connessione.  – La voce del tenente si alzò un poco, mentre un nuovo pensiero si faceva strada nella sua mente.  – Potrebbe aver cambiato il cognome per distogliere l’attenzione da /oro; voglio dire, potrebbe darsi che cerchi di proteggerli.

– Ma sta ottenendo il risultato contrario, direi.

– Non se ne rende conto, forse, ma il suo scopo potrebbe essere proprio questo: proteggerli.

Brand sospirò.

– E va bene. Ci occuperemo di questi Zebatinsky… Ma se non salta fuori niente, lasceremo cadere la faccenda, tenente. E mi lasci il fascicolo.

 

Quando Brand ricevette le informazioni, aveva dimenticato quasi del tutto il tenente e le sue teorie. Il suo primo pensiero, nel ricevere i dati che comprendevano una lista di diciassette biografie di diciassette cittadini russi e polacchi, che si chiamavano tutti Zebatinsky, fu: Ma che razza di storia è questa?

Poi si ricordò, imprecò blandamente e cominciò a leggere.

Cominciò con l’americano. Marshall Zebatinsky – impronte digitali – nato a Buffalo, New York – data, certificato dell’ospedale. Suo padre era nato a Buffalo a sua volta, sua madre era nata ad Oswego, New York. I nonni paterni erano nati entrambi a Bialystok, Polonia – data di ingresso negli Stati Uniti, data di naturalizzazione, fotografie.

I diciassette cittadini russi e polacchi che si chiamavano Zebatinsky discendevano tutti da famiglie che, circa mezzo secolo prima, avevano vissuto a Bialystok o nei dintorni. Presumibilmente potevano essere parenti, ma questo non veniva provato in alcun caso. I dati anagrafici nell’Europa orientale, nel primo dopoguerra, non venivano registrati con molta cura.

Brand studiò le biografie dei singoli Zebatinsky, uomini e donne: era stupefacente constatare con quanta cura lavorava lo spionaggio: probabilmente anche lo spionaggio russo faceva altrettanto. Si fermò ad uno di quei nomi, e la sua fronte liscia si coprì di rughe, mentre le sue sopracciglia si alzavano di scatto. Mise da parte il foglio e continuò. Alla fine mise da parte tutto il resto e tenne in evidenza soltanto quel primo foglio.

Lo fissò, cominciando a battere sulla scrivania un’unghia ben curata.

E con una certa riluttanza, chiamò il dottor Paul Kristow della Commissione per l’Energia Atomica.

 

Il dottor Kristow lo ascoltò con un’espressione pietrificata. Ogni tanto alzava un mignolo per grattarsi il naso, come se volesse rimuovere un granello di polvere. Aveva i capelli grigio-ferro che si facevano radi; fra poco sarebbe diventato calvo.

– No, mai sentito parlare di uno Zebatinsky russo – disse.  – Ma d’altra parte non ho mai sentito parlare nemmeno di quello americano.

– Bene.  – Brand si passò una mano sui capelli, poi aggiunse lentamente:  – Non credo ci sia sotto qualcosa, ma non voglio lasciar cadere la faccenda prima del tempo. Ho alle costole un tenente novellino e lei sa che tipi sono. Non voglio far niente che possa portarmi davanti ad una commissione del Congresso. Per giunta, uno degli Zebatinsky russi, Mikhail Andreievic Zebatinsky, è un fisico nucleare. È sicuro di non averlo mai sentito nominare?

– Mikhail Andreievic Zebatinsky? No… no, mai sentito nominare. Ma questo non prova niente.

– Potrei dire che si tratta di una coincidenza, ma lei sa che questa faccenda comincia a sembrare un po’ strana. Uno Zebatinsky qui ed uno Zebatinsky là; tutti e due fisici nucleari, e uno dei due cambia improvvisamente il cognome in Sebatinsky, e va in giro a farlo sapere a tutti. E non ammette errori. Dice con enfasi: «Scriva il mio cognome con la S». Tutto calza abbastanza bene perché il mio tenente fiuta-spie cominci a sentirsi un po’ troppo soddisfatto… E c’è un altro particolare: lo Zebatinsky russo è sparito dalla circolazione circa un anno fa.

– Eliminato! – esclamò stolidamente il dottor Kristow.

– Potrebbe darsi. In circostanze ordinarie potrei crederlo, sebbene i russi non siano più stupidi di noi e non abbiano l’abitudine di ammazzare i fisici nucleari, se possono farne a meno. Però un fisico nucleare potrebbe sparire improvvisamente per ragioni completamente diverse. Ci pensi bene.

– Ricerche segrete, eh? È questo che intende dire? Crede che si tratti di questo?

– Metta insieme questo particolare agli altri, aggiunga le intuizione del tenente… comincio proprio a prendere sul serio questa storia.

– Mi dia quella biografia.  – Il dottor Kristow prese il foglio e lo lesse due volte. Poi scosse il capo. Poi disse: – cercherò nell’Archivio Nucleare.

 

L’Archivio Nucleare occupava tutta una parete dell’ufficio del dottor Kristow, con i suoi cassetti bene ordinati, pieni di microfilm.

Il dottor Kristow cominciò a far passare gli indici al proiettore, mentre Brand lo osservava, con tutta la pazienza di cui era capace.

– Un Mikhail Zebatinsky è autore o coautore di una mezza dozzina di articoli apparsi su riviste sovietiche in questi ultimi sei anni. Adesso consulteremo gli estratti e forse potremo cavarne qualcosa. Ma ne dubito.

Un selettore prelevò le bobine desiderate. Il dottor Kristow le mise in ordine, le passò al proiettore ed a poco a poco una strana espressione intenta gli alterò il volto.

– Strano – commentò.

– Che c’è di strano? – chiese Brand.

Il dottor Kristow tornò a sedere.

– Preferirei non dirlo, ancora. Può procurarmi un elenco degli altri fisici nucleari che sono spariti di circolazione nell’Unione Sovietica l’anno scorso?

– Vuol dire che comincia a vedere qualcosa?

– Non proprio. O per lo meno, non posso stabilirlo guardando soltanto questi documenti. Il fatto è che sommando tutti i dati e sapendo che quest’uomo può far parte di una squadra di ricerche segrete e, soprattutto, dal momento che lei mi ha messo la pulce nell’orecchio…  – E scrollò le spalle.  – Non è niente.

– Vorrei che mi dicesse quello che ha in mente – fece impaziente Brand.  – Può darsi che abbiamo preso una cantonata solenne.

– Se la pensa così… È possibile che quest’uomo si occupi della riflessione dei raggi gamma.

– E questo cosa significa?

– Se si potesse inventare uno schermo riflettente contro i raggi gamma, sarebbe possibile costruire schermi individuali per proteggere la gente dal fallout. Lei sa bene che il maggiore pericolo è rappresentato dal fallout. Una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere una città; ma il fallout potrebbe uccidere lentamente la popolazione di una zona lunga migliaia di miglia e larga centinaia.

– E noi stiamo facendo ricerche in questo senso? – chiese Brand, in fretta.

– No.

– E se loro riescono e noi no, loro possono distruggere completamente gli Stati Uniti, al prezzo di, diciamo… dieci città, dopo aver completato il loro programma per gli schermi individuali.

– È una possibilità piuttosto remota… e ha visto dove siamo arrivati? E cominciato con un uomo che ha cambiato l’iniziale del proprio cognome.

– E va bene, sono un pazzo – disse Brand.  – Ma non lascerò in sospeso questa storia. Non a questo punto. Mi procurerò la lista dei fisici nucleari scomparsi, dovessi andare personalmente a Mosca per procurarmela!

 

E se la procurò. Cominciarono a controllare tutti gli articoli scritti dagli scienziati scomparsi. Poi convocarono la Commissione per l’Energia Atomica al completo, poi convocarono addirittura tutti i migliori esperti nucleari del Paese. Il dottor Kristow uscì finalmente dalla riunione che era durata tutta la notte ed alla quale aveva presenziato, per circa la metà, addirittura il Presidente.

Brand stava aspettando Kristow. Avevano entrambi un’aria stordita; avevano visibilmente bisogno di dormire.

– Ebbene? – chiese Brand.

Kristow annuì.

– La maggioranza è d’accordo. Qualcuno ha ancora qualche dubbio, ma la maggioranza è d’accordo.

– E lei? Lei è sicuro?

– Non mi sento affatto sicuro, ma posso esprimermi così: è più facile credere che i sovietici stiano lavorando ad uno schermo anti-raggi gamma, piuttosto che credere puramente casuali tutte le coincidenze dei dati in nostro possesso.

– Allora hanno deciso che anche noi dobbiamo cominciare le ricerche per realizzare lo schermo?

– Sì.  – Kristow si passò la mano sui corti capelli a spazzola, traendone un suono asciutto, sibilante.  – Bisogna metterci su questa strada. Tenendo conto degli articoli scritti dagli scienziati scomparsi, possiamo cominciare l’inseguimento. Potremo perfino batterli sul tempo… naturalmente, loro scopriranno che anche noi lavoriamo per realizzare lo schermo.

– Non importa – disse Brand.  – Anzi, meglio. Così ci penseranno bene, prima di attaccarci. Non vedo che guadagno ci sarebbe a vendere dieci delle nostre città contro dieci delle loro… se siamo entrambi protetti e se loro non fossero troppo stupidi per capirlo.

– Ma non bisogna che Io scoprano troppo presto. E in quanto al nostro Zebatinsky-Sebatinsky?

Brand assunse un’espressione solenne e scosse il capo.

– Non è possibile ricollegarlo ad alcuno dei fatti che conosciamo. Eppure il diavolo sa se lo abbiamo controllato. Sono d’accordo con lei, naturalmente. Adesso lavora in una posizione strategica e non possiamo permetterci di lasciarlo lì, anche se è assolutamente pulito.

– E non possiamo buttarlo fuori, semplicemente, altrimenti i russi cominceranno ad incuriosirsi.

– Lei cosa consiglia di fare?

Si incamminarono per il lungo corridoio vuoto, verso l’ascensore. Erano le quattro del mattino.

– Mi sono interessato al suo lavoro – disse il dottor Kristow. – È un uomo capace, migliore di molti altri. E per giunta non è entusiasta della sua posizione attuale. Non ha il temperamento per la ricerca collettiva.

– E così?

– Ma è il tipo adatto per un lavoro accademico. Se facciamo in modo che una grossa università gli offra una cattedra di fisica, credo che lui ne sarebbe felicissimo. Così potremmo sistemarlo in una posizione non strategica, e potremmo tenerlo d’occhio facilmente. E sarebbe uno sviluppo logico e naturale. I russi non si gratterebbero la testa per questo. Lei che ne dice?

Brand annuì.

– È un’idea. Mi pare ottima, anzi. Ne parlerò al capo.

Entrarono nell’ascensore e Brand cominciò a riflettere. Che razza di conclusione, per una faccenda cominciata semplicemente con l’iniziale di un cognome!

 

Marshall Sebatinsky non riusciva quasi a parlare.

– Ti giuro che non capisco come sia accaduto – disse alla moglie.  – Non avrei mai pensato che mi riconoscessero per mezzo d’un contatore di mesoni… Buon Dio, Sophie, titolare d’una cattedra di fisica a Princeton! Pensaci!

– Credi che sia stato il tuo intervento all’ultimo congresso? – chiese Sophie.

– Non direi. Era una chiacchierata assolutamente priva di ispirazione che chiunque, nel mio reparto, avrebbe potuto mettere insieme.  – E fece schioccare le dita.  – Deve essere stata l’Università di Princeton che ha fatto tutte quelle indagini sul mio conto. Ecco, ci sono! Sai bene come mi sono stati alle costole in questi ultimi sei mesi; tutti quei colloqui di cui non riuscivo a spiegarmi il motivo. Stavo cominciando a pensare che mi credessero un sovversivo! E invece era Princeton che assumeva informazioni. Sono molto scrupolosi.

– Forse è stato il tuo cognome – disse Sophie.  – Voglio dire, il cambiamento.

– Senti, Sophie. Adesso finalmente la mia vita mi appartiene. Adesso che avrò la possibilità di svolgere il mio lavoro senza…  – S’interruppe e fissò la moglie.  – Il mio cognome! vuoi dire la S!

– Non hai ricevuto l’offerta dopo aver cambiato il tuo cognome, forse?

– Non molto tempo dopo… Ma no, è una semplice coincidenza. Te l’avevo detto, Sophie, non era il caso di buttare via cinquanta dollari solo per farti piacere. Santo cielo, come mi sono sentito sciocco, in tutti questi mesi, a insistere su quella stupida S!

Sophie fu immediatamente sulla difensiva.

– Non sono stata io a importelo, Marshall. Io te l’ho consigliato, ma non ho neanche insistito. Non puoi dire una cosa simile. D’altra parte, hai visto che ha avuto buon esito. Sono sicura che è stato merito del nome.

Sebatinsky sorrise con indulgenza.

– Tutte superstizioni.

– Chiamale come vuoi, ma adesso non tornare al tuo vecchio cognome!

– Oh, bene, stavo solo scherzando… Adesso ti dico quello che farò. Andrò da quel vecchietto, uno di questi giorni, gli dirò che il suo sistema ha funzionato e gli scucirò un altro blocchetto da dieci dollari. Sei contenta?

Era così euforico che la settimana successiva mise davvero in atto il suo progetto. Questa volta non pensò affatto a camuffarsi. Portava gli occhiali, i suoi abiti soliti ed aveva lasciato a casa il cappello.

Canticchiava fra sé, mentre si avvicinava al negozio; si fece da parte per lasciar passare una donna dalla faccia acida che spingeva la carrozzina dei suoi due gemelli.

Mise la destra sulla maniglia della porta, ma la serratura non cedette alla pressione delle sue dita. La porta era chiusa a chiave.

Il cartello polveroso con la scritta «Numerologia» non c’era più. C’era un altro cartello, ingiallito e accartocciato dal sole, con la scritta «Affittasi».

Sebatinsky scrollò le spalle. Pazienza. Lui aveva cercato di fare quello che gli pareva giusto.

 

Haround si liberò dell’escrescenza corporea, cominciò a fare allegramente le capriole, e i suoi vortici di energia splendettero di un cupo color porpora su molte ipermiglia cubiche.

– Ho vinto? – disse.  – Ho vinto, sì o no? – disse.

Mestack si stava ritirando; i suoi vortici erano quasi una sfera di luce nell’iperspazio.

– Non ho ancora completato i calcoli.

– Bene, continua. Non cambierai i risultati per quanto tempo ci impieghi… Uf, che sollievo ritornare ad essere energia pura. Sono rimasto corporeo per un microciclo. Ma valeva la pena, per dimostrarti che avevo ragione.

– E va bene – disse Mestack.  – Ammetto che hai evitato una guerra nucleare su quel pianeta.

– E questo è un effetto di Classe A, sì o no?

– È un effetto di Classe A. Naturalmente.

– Benissimo. E adesso controlla se non ho ottenuto questo effetto di Classe A con uno stimolo di Classe F. Ho cambiato una lettera di un cognome.

– Cosa?

– Oh, non ci badare. È tutto qui. L’ho fatto per convincerti.

– Mi arrendo – fece Mestack, un po’ riluttante.  – Uno stimolo di Classe F.

– E allora ho vinto. Riconoscilo.

– Aspetta che l’Osservatore se ne accorga e poi vedrai che non avremo vinto né tu né io!

Haround, che era stato un vecchio numerologo sulla Terra ed era ancora, in un certo senso, sconvolto dal sollievo di non esserlo più, ribatté:

– Ma non ci pensavi, eh, quando hai fatto la scommessa?

– Non credevo che fossi così pazzo da portarla a termine.

– Ma perché ti preoccupi? l’Osservatore non si accorgerà mai di uno stimolo di Classe F.

– Forse no. Ma si accorgerà dell’effetto di Classe A. Questo materiale sarà ancora qui in giro per una dozzina di microcicli. L’Osservatore se ne accorgerà.

– Il guaio, Mestack, è che tu non vuoi pagare. Stai cercando di cavillare.

– Pagherò. Ma aspetta che l’Osservatore si accorga che ci siamo occupati di un problema che non ci era stato assegnato e che abbiamo operato un cambiamento non permesso. Naturalmente, se noi… – e si interruppe.

– E va bene, rimetterò tutto a posto – disse Haround.  – E così non verrà mai a saperlo.

Vi fu un improvviso bagliore nello schema d’energia splendente di Mestack.

– Ti occorrerà un altro stimolo di Classe F, se vuoi che lui non se ne accorga.

Haround esitò.

– Posso riuscirci.

– Ne dubito.

– Ti dico che potrei.

– Sei disposto a scommetterci?  – Il giubilo cominciava a insinuarsi nelle radiazioni di Mestack.

– Sicuro – disse Haround, puntiglioso.  – Rimetterò quei corporei dov’erano prima e l’Osservatore non si accorgerà mai della differenza.

Mestack rifletté un attimo.

– Lasciamo perdere la prima scommessa, allora. E triplichiamo la posta sulla seconda.

Il fascino del rischio fece presa anche su Haround.

– Eva bene. Triplichiamo la posta.

– È andata, allora?

– È andata.

 

Titolo originale:

SPELL MY NAME WITH AN S

Le Migliori Opere Di Fantascienza
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